Di Diego Gavagnin

L'“Adda passà ‘a nuttata…” di cui parlavamo nel commento di fine anno, stenta a lasciarci. Il mercato mondiale e in particolare europeo, a causa della crisi ucraina e degli altri fattori che hanno determinato l’esplosione dei prezzi del gas naturale, aspetta adesso la fine dell’inverno, quando caleranno i consumi per il riscaldamento e la domanda e l’offerta di gas torneranno in equilibrio. Dobbiamo però sperare nella diplomazia internazionale.

Questa crisi, la prima da quando il mercato del GNL è diventato globale, non a caso assimilata a quella del petrolio del 1973, imporrà una profonda riflessione sul come far fronte ad altre eventuali in futuro, sia per il big GNL sia per lo small scale. L’Italia e buona parte dell’Europa hanno affidato la propria sicurezza energetica ai gasdotti, invece di costruire un numero adeguato di impianti per ricevere il GNL, che può arrivare da tutto il mondo via nave.

La situazione è però tanto grave che si dovranno trovare i rimedi, come fu fatto per il petrolio nel 1974. E tra i rimedi ci sarà certamente il GNL. La crescita proseguirà e acquisterà anche maggiore velocità, come spesso dopo crisi come questa, che aprono nuove opportunità e obbligano a guardare lontano.

Il GNL come combustibile di transizione al 2050 in sostituzione degli altri combustibili fossili non ha alternative. Anche se la domanda cinese è in parte all’origine dell’innesco della crisi, non possiamo che essere contenti se quel Paese, che trascina tutta l’Asia, lascia carbone e petrolio per passare al metano. Tanto più che l’arrivo del bioGNL e dei processi di decarbonizzazione lo rendono sempre più attraente.

In questo momento c’è una gara a livello mondiale per la costruzione di nuovi liquefattori e rigassificatori, oltre l’implementazione degli esistenti, sulla spinta non solo dei prezzi attuali (assurdi), ma anche dalla evidenza del ruolo che il GNL ha assunto negli ultimi anni. Funzione fino ad ora poco percepita, anche a causa dell’esagerata attenzione dedicata alle fonti rinnovabili elettriche, che tardano ad arrivare.

Soprattutto il mercato dello small scale GNL è cresciuto in ombra, e questo giustifica, ma solo in minima parte, la distrazione e le difficoltà d’intervento dei decisori politici per le necessarie misure di sostegno, adottate invece rapidamente in altri settori. Nessuna responsabilità può essere addossata a questa nuova filiera industriale.

Quello che più lascia perplessi dell’attuale momento è come non sia riconosciuto nei fatti il minore impatto ambientale del GNL rispetto a tutti gli altri combustibili disponibili. Ogni camion a GNL che oggi viene tenuto fermo (o mandato a lavorare in Germania, dove non paga le autostrade) è sostituito con uno a gasolio a cui corrisponde un maggiore impatto in termini di emissioni di zolfo, polveri sottili, azoto e CO2.

Vale anche per gli autobus e le industrie isolate, dove magari chi può si trova a dover usare addirittura l’olio combustibile. Oggi sono paradossalmente penalizzati di più proprio quelli che in silenzio hanno investito volontariamente sulla transizione ecologica. Assurdo, un segnale drammatico per tutti gli altri ambiti della transizione energetica che senza l’impegno degli imprenditori privati non va da nessuna parte.

L’Italia non può vivere di sussidi pubblici. Qui si tratta invece di riconoscere semplicemente il maggior valore ambientale del gas naturale, come peraltro ha deciso anche la Commissione Europea mantenendolo nella Tassonomia per gli aiuti pubblici alle fonti energetiche di transizione. La Tassonomia peraltro non riguarda lo small scale, che in normali situazioni di mercato ha dimostrato di saper camminare sulle proprie gambe.

Un altro aspetto assurdo del mancato tempestivo intervento dello Stato è che ogni metro cubo di GNL che si aggiunge al consumo riduce la dipendenza energetica del Paese dai gasdotti, che ci legano indissolubilmente ai fornitori, come l’attuale crisi – dopo quelle del 2006 e del 2014 – ha nuovamente e drammaticamente evidenziato. Possibile che neanche questo sia riconosciuto?