Come attraversare un deserto

di Diego Gavagnin

Il G7 conclusosi pochi giorni fa ha confermato gli ambiziosi obiettivi che i Paesi democratici a economia di mercato si sono dati per il contenimento del cambiamento climatico al 2050. Cercando di interpretare il comunicato finale e anche le parole del premier Draghi, l’attenzione maggiore sembra essere stata data alla tappa intermedia del 2030.

E non può che essere così, in un approccio razionale. Dopodiché è difficile immaginare uno sviluppo tale dei nuovi vettori energetici, in primis il “tutto elettrico” o l’idrogeno, in grado di garantire gli obiettivi previsti da qui a nove anni. La stessa Commissione prevede che nel 2050 l’idrogeno coprirà non più di un quarto dei consumi energetici europei.

L’approccio pragmatico riguarda soprattutto i trasporti, il settore che certamente va aggredito per primo, perché grande è il suo peso proporzionale sul totale delle emissioni che vanno abbattute entro il 2030.

Ingenti sono gli incentivi che si prospettano a livello europeo per lo sviluppo dei nuovi vettori. C’è grande euforia. Poco chiaro chi e come qui in Italia “dirigerà il traffico”, per evitare gli sprechi ai quali abbiamo assistito negli scorsi anni e che ancora paghiamo in bolletta per gli incentivi alle fonti rinnovabili, che avrebbero potuto avere lo stesso sviluppo con spese molto minori.

In ogni caso è più che mai necessario chiarire la distinzione tra incentivi e sussidi. Non possiamo immaginare la nuova economia “net zero” pagata a piè di lista. Attenzione al “dirigismo” statale, ha detto Draghi, se abbiamo compreso le sue parole. E c’è chi ha parlato di “attraversata del deserto” per i prossimi anni.

Allora, pur senza abbandonare sogni, aspirazioni e previsioni razionali, la prima doccia di realtà che va fatta è proprio guardare come si sta muovendo il mercato, vedere e analizzare le libere scelte degli investitori privati, che per definizione non amano buttare via i soldi, come invece è molto più probabile faccia chi usa i soldi degli altri (i nostri) e non rischia di fallire.

Qui ci riferiamo alle imprese, soprattutto private di dimensione piccole e medie, che hanno scelto negli scorsi anni il GNL come combustibile per i trasporti marittimi e terrestri pesanti, oltre che per l’alimentazione di industrie e reti isolate, lontane dai gasdotti. Tutte, chi più chi meno, guardano anche all’elettrico, all’idrogeno, all’ammoniaca e quant’altro la ricerca scientifica e tecnologica riuscirà a mettere a disposizione in condizioni di prezzo e di logistica comparabili.

Nel frattempo armatori, trasportatori e distributori continuano ad ordinare navi a GNL, dove è in corso un vero boom, camion a GNL, a costruire stazioni di servizio e ad ingegnarsi come avere la materia prima, in Italia ad esempio ancora non disponibile. Nel silenzio della “grande” stampa e della politica nazionale, negli scorsi giorni è entrato in attività il primo deposito costiero italiano di GNL, che ha dovuto essere rifornito dalla Croazia.

Travolti dall’entusiasmo per il nuovo che avanza, il gas naturale è diventato una parolaccia. Anche a livello di istituzioni europee si contesta ora l’uso del metano per sostituire le centrali a carbone, pur non esistendo una alternativa credibile (a meno di un grande ritorno del nucleare). En passant, qualcuno segnalava giorni fa che i moduli fotovoltaici fatti in Cina, che dominano per prezzo il mercato mondiale, sfruttano la produzione elettrica da carbone…

Quelli che insistono ad investire nel GNL sono matti? No. Solo razionali. Qualsiasi siano le regolamentazioni dei prossimi anni, chiunque sarà il decisore non potrà non prendere atto che il primo candidato alle emissioni zero è proprio il metano liquido. Non solo perché è iniziata la corsa alla sua sostituzione con il bioGNL, con il gas sintetico (idrogeno più anidride carbonica) che permette di utilizzare le infrastrutture già in essere e l’uso delle celle a combustibile da GNL.

Più ancora di tutto questo cresce negli investitori la consapevolezza che chi sa fare e usare bene il GNL è sulla pista giusta per poi poterlo integrare o sostituire con tutto il resto. Non a caso le prime sperimentazioni dell’idrogeno più significative le troviamo nei paesi baltici e scandinavi, che scelsero il GNL come combustibile marittimo dieci anni fa.

Significativo il caso dell’azienda di gestione ambientale piemontese che dopo aver sperimentato per anni la raccolta dei rifiuti con i mezzi elettrici ha deciso di passare al GNL. E’ con questo approccio che si può anche attraversare il deserto.