Le contraddizioni della guerra del gas

Si discute da mesi su possibili interventi amministrativi di calmieramento dei prezzi ma ci si rende conto di quanto ciò sia difficile in un regime di libero mercato. Quanto sta succedendo, è peraltro tipico delle situazioni di guerra, e non a caso esponenti del governo hanno sostenuto che siamo entrati i una “economia di guerra”.

Durante le guerre sono i governi a prendere in mano le situazioni, per poi tornare indietro e riaprire i mercati. Il timore è se poi, una volta tornata la pace, si riesca a ridare la libertà a questi mercati. La storia ci dice quanto sia difficile per la politica, soprattutto nel nostro paese, lasciare il potere di gestione dell’economia, una volta acquisito.

D’altro canto se guardiamo il settore energetico vediamo che la stragrande maggioranza delle imprese del settore sono già a controllo pubblico. Figuriamoci una volta che la politica riprendesse anche il controllo dei prezzi! L’idea che la protezione del consumatore fornita dalla libera concorrenza tra imprese fornitrici non è mai passata fino in fondo nel nostro Paese, preferendo il “comando-controllo” della mano pubblica.

E però siamo in guerra, e non da soli, ma curiosamente siamo in Europa tra quelli che soffrono di più, soprattutto nel gas. Prezzi altissimi per tutti, ma da noi sempre un po’ di più. Questo perché il nostro Paese non è un mercato del gas, ma un lavandino. I prodotti arrivano e qui si fermano e per essere consumati, dopo aver pagato il prezzo di ogni attraversamento di frontiera. Un po’ di gas riusciamo ogni tanto anche a esportarlo, ma sono sfridi, non arrivano a incidere sui prezzi.

Il nostro sistema del gas potrebbe sopportare un carico di almeno 115 miliardi di metri cubi di gas (76 mld i consumi del 2021, vedremo quanti sdaranno quest’anno), ma il problema è la capacità di approvvigionamento. Nel primo decennio del secolo s’intravvide la possibilità di fare del nostro paese un hub del gas per l’Europa, da sud verso nord. C’erano in campo una decina di progetti di rigassificatori, siamo riusciti a farne solo due.

Tutti gli altri sono stati messi in crisi dal contratto di import per 29 miliardi del 2006 dalla Russia fino al 2036, voluto dai governi di allora, non dalle imprese (che neanche si sa se fossero state informate). Se arrivava tutto questo gas (da pagare anche se non ritirato) ci sarebbe stato posto per i rigassificatori? Poi la crisi finanziaria ed economica del 2008-2012 ha dato la mazzata finale, perché i consumi di gas in Italia, che superavano abbondantemente gli 80 mld/anno, sono crollati, lasciando per strada quasi una decina di mld.

L’idea di fare dell’Italia un hub (centro di importazione, stoccaggio e riesportazione) del GNL c’era già allora, perché  si vedeva bene l’enorme vantaggio dell’importazione via nave da una pluralità di fonti diverse in concorrenza tra loro per l’aumento della sicurezza energetica. E’ andata com’è andata. Tramontato anche il progetto Galsi, che dall’Algeria doveva raggiungere la Sardegna e poi la Toscana. Il che dimostra che il gas in Algeria c’è, si tratta solo di estrarlo.

E non è neanche vero che il prezzo russo fosse conveniente, tant’è che nel 2012/13 l’Italia ottenne una sua riduzione perché nel frattempo l’arrivo del GNL in Europa aveva fatto scendere i prezzi ben al di sotto di quello importato dalla Siberia.

Adesso abbiamo sentito il premier Draghi riutilizzare il termine “hub” per l’Italia e i Paesi del sud Europa. Pensiero mai precisato, e se guardiamo la risposta dell’Europa al rischio gas vediamo che tutti vanno in ordine sparso. La Germania, già 20 anni fa vista come potenziale maggiore acquirente del gas che venisse da sud e non da est, ha affittato quattro navi rigassificatrici, e alcune entreranno già in attività nei prossimi mesi. Di interesse tedesco per il gas che le potrebbe arrivare da noi non c’è notizia.

Come sempre nelle situazioni di crisi a farla da padrona è l’incertezza e certo le strategie della UE non aiutano. Gli impianti di rigassificazione, così come è stato per gli impianti di raffinazione del petrolio, devono lavorare per un po’ di anni per rientrare dall’investimento. In questo momento l’Europa e l’Italia cercano disperatamente gas in giro per il mondo, mentre la stessa Europa e l’Italia dicono che dal 2030 del gas potremo fare a meno!

Bene i recenti accordi UE per il GNL con Israele ed Egitto e quelli di Eni con il Qatar, ma sullo sfondo dell’altra grande incertezza per seri investimenti (che peraltro a nostro avviso potrebbero comunque avere una vita utile almeno fino al 2050, potendo così ammortizzarsi). Una volta tornata la pace continueremo a importare gas dalla Russia o no? Se non si scioglie questo dubbio in un senso o nell’atro inutile sperare nell’intervento salvifico degli investitori.

Nel frattempo la Russia ha avviato una strategia di riduzioni mirate delle forniture verso l’Europa, ma sempre all’interno delle flessibilità previste dai contratti, con l’obiettivo di rallentare se non impedire il riempimento degli stoccaggi indispensabili in inverno soprattutto per la Germania e l’Italia. Nel frattempo continua a rifornire i 10 mld che servono all’Ucraina, di cui pure ha avviato l’invasione.